In questo post, un uomo ha descritto la sua esperienza, sul posto di lavoro, di come alcune donne “approfittano” paradossalmente di una legge sulla tutela della maternità.
Mi è parso così strano questo argomento che quasi mi è sembrata una “guerra tra poveri”, nel senso di una guerra tra uomini che sono quasi gelosi di questi diritti (per alcuni, esagerati) e noi donne, alla presa tra le gioie e dolori di una maternità e soprattutto di una vita successiva di madre-lavoratrice sempre sul filo del rasoio del tempo (con il continuo senso di colpa nei confronti dei figli e della carriera lavorativa che stenta, sempre, a crescere).
Ho trovato sulla rete questo video (molto interessante e che vi consiglio di vedere) che descrive le differenze esistenti di welfare tra la nostra Italia e il resto di Europa (non è vero che siamo la nazione che tutela di più la maternità).
Quello che più mi ha colpito, in queste interviste, è purtroppo il fatto che, spesso, all’interno delle proprie famiglie, il ruolo del padre è quasi inesistente (se chiedete ad un uomo di parlarvi del congedo parentale che gli spetta, quasi nessuno sa rispondervi) e il fatto che noi donne ci accontentiamo del primo lavoro che troviamo, proprio per essere sempre presenti nel lavoro di cura di figli (e non solo).
E’ chiaro, allora, che questo costituisce una discrimante per i datori di lavoro, sia al momento dell’assunzione (non è raro che durante la selezione ci venga chiesto se abbiamo figli o se intendiamo averne), sia al momento di un’eventuale crescita professionale.
Se il papà non collabora, è ovvio che una donna-mamma si assenti più spesso dei propri colleghi, sia per accudire un figlio malato che per accompagnarlo dal pediatra, ad esempio.
I tempi del lavoro, insomma, non coincidono con i tempi della famiglia. Noi donne, per forza, dobbiamo riuscire a conciliare i nostri impegni professionali con quelli familiari senza poterci dedicare, per ovvie ragioni, “anima e corpo” al nostro lavoro. La cosa peggiore, poi, è non avere neanche del tempo libero per potersi dedicare a se stessi, ai nostri hobbies, ecc.
Concludo affermando amaramente, purtroppo, che il problema è soprattutto di natura culturale; fino a quando si relegherà il ruolo di cura, solo a noi donne, non ci sarà legge che tenga che sappia riconoscere, ufficialmente e pienamente, il ruolo e i diritti di noi donne lavoratrici.