lunedì 18 febbraio 2008

Dalla parte dell'imprenditore...


Mi piace iniziare questo post con le parole di un piccolo imprenditore blogger:
"Ogni mattina in Italia tanti piccoli imprenditori si svegliano e sanno che dovranno correre più veloce del leone, della gazzella, dei creditori, dell'agenzia delle entrate, dell'INPS, della legislazione sul lavoro, del commercialista, del prezzo delle materie prime, dei concorrenti, dei loro collaboratori... se vogliono sopravvivere.
Ogni mattina tanti piccoli imprenditori si svegliano e si chiedono se ne vale la pena. Poi pensano al loro lavoro, si aggrappano alle soddisfazioni che ogni tanto si riescono a prendere, pensano ai loro collaboratori che mostrano passione e voglia di crescere, stringono i denti e si rispondono di si.
E vanno a lavorare. "
Ho avuto il piacere di parlare con un giovane imprenditore di precarietà, flessibilità, colloqui di lavoro.
E' facile criticare queste persone, spesso pretendiamo l'impossibile, ma ci siamo mai messi nei loro panni? Cosa vogliono dai propri collaboratori queste persone?
Ecco cosa, questo amico imprenditore, mi ha risposto.

"Gli imprenditori, in particolari quelli delle PMI, vogliono menti flessibili perchè sono quelle più vicine alle proprie caratteristiche e fisionomie mentali, e sono quelle che hanno un miglior rapporto qualità/prezzo nella gestione lavorativa.

E' impossibile capire per un imprenditore vero - e attenzione qui a distinguere tra imprenditori e finanzieri, due categorie molto diverse tra loro, solo i primi sono imprenditori reali - il perchè si debba avere uno stipendio fisso se non si produce nulla.

Paradossalmente, per l'imprenditore, è comprensibile l'operaio perchè produce qualcosa di reale, sia esso prodotto o servizio. Il problema avviene con nuove figure professionali che spesso non fanno davvero nulla, e non sono facilmente inquadrabili. Un operaio è quindi una "mente flessibile" poichè dinamico e lavora per obiettivi; la segretaria, il ragazzo che vuole fare la campagna di comunicazione perchè la sa fare "come ha imparato all'università" sono invece gli esempi di menti precarie. E' chiaro che ci sono persone più predisposte mentalmente verso una tipologia, e altre verso l'altra."

Per l'imprenditore, spesso, avere una mente flessibile vuol dire: dinamismo, movimento, disponilibilità e spirito di sacrificio, voglia di lavorare per obiettivi, collegamento del proprio stipendio con il raggiungimento degli obiettivi; voglia di imparare.

Mente Precaria vuol dire: staticità, fissità nelle proprie posizioni, richiesta di diritti di lavoro prima di fornire dati oggettivi delle proprie competenze, oppure prima di aver fatto dei test che giustifichino la richiesta, voglia di avere uno stipendio fisso non legato ad obiettivi da raggiungere, pretesa di saper fare delle cose solo perchè se ne conosce la teoria.

Infine, sempre per questo giovane imprenditore, in fase di colloquio, vengono sempre scartati, tutti quelli che:
- chiedono quante ore si lavora;
- dicono che loro vogliono stare in ufficio e non muoversi sia perchè non gli va, sia perchè questo potrebbe comportare delle spese in più;
- chiedono in anticipo se poi potrà esserci una assunzione a tempo indeterminato;
- chiedono se è possibile fare contratti diversi nel caso si scelga loro;
- che non hanno nello loro cv alcuni lavori pratici dentro, ma solo roba teorica;
- che hanno oltre 25-30 anni di età (in genere già oltre 26 è raro chiamare persone);
- che hanno lavorato in molti posti per poco tempo - sembrano insicuri o poco stabili;
- che hanno più di 2 stage: danno l'idea di lavorare "tanto per";
- che fanno osservazioni critiche sui contratti di lavoro flessibile in fase di colloquio.
La base è che si cerca di non portarsi problemi dentro casa, visto tutti quelli a cui ci sottopone già questo Paese per mandare avanti le nostre imprese.

L'imprenditore si ritiene, infatti, quello che manda avanti il Paese in tutti i sensi.

Vi sembra troppo tutto ciò o forse faremmo tutti queste stesse cose se ognuno di noi avesse una propria impresa?

Per ultimo, l'amico, ha anche avanzato la seguente proposta:

Una soluzione carina potrebbe essere quella di rafforzare la partecipazione dei collaboratori-dipendenti con "micro-quote" dell'impresa, in modo da condividere il rischio di impresa e avere una maggiore garanzia per l'imprenditore di impegno da parte del lavoratore.

Allora, che ne pensate di queste parole?

7 commenti:

angela padrone ha detto...

Molto interessante: il decalogo dell'imprenditore mi sembra di averlo già sentito...ma il punto è che è vero, almeno in gran parte. Purtroppo io credo sempre di più che il problema stia nel sistema formativo. I ragazzi crescono senza mai avvicinarsi al mondo della lavoro e della produzione, per tutta la loro vita sono "principi" della loro famiglia e si aspettano che anche il mondo di fuori sia così. In questo modo si precludono delle opportunità. ovviamente direi che la colpa non è dei ventenni: la colpa è nostra che li cresciamo tenendoli all'oscuro della realtà, li imbottiamo di luopghi comuni e non gli diamo informazioni ed esperienze di lavoro. Giusta l'ide adelle quote di partecipazione, ci potrebbero essere tanti modi per realizzarla. Chissà se il nostro imprenditore ci ha provato? Ce lo racconterebbe? A me interessa molto.
angela

Anonimo ha detto...

Interessante ma almeno in un punto è piuttosto contraddittorio... vuole persone abituate alla flessibilità, con apertura a cambiamenti anche di posto di lavoro e poi scarta quelli "- che hanno lavorato in molti posti per poco tempo - sembrano insicuri o poco stabili;". Cioè, flessibili ma non troppo? Flessibili ma solo quando arrivano da lui? E quale sarebbe la giusta misura secondo lui? Non più di 3-4 lavori diversi o meno? Non più di 2 lavori per meno di tre mesi e non più di 4 per meno di sei mesi? Sarebbe davvero interessante conoscere questa formula così nei 3-4 anni di esperienza prima di arrivare alla Mecca della sua dorata Azienda ci si può regolare, questo lavoro lo prendo, quest'altro no perché sono già a 3 lavori da sei mesi, meglio non mangiare che sporcare il curriculum ;)
Perdona l'ironia ma o si è a favore della flessibilità o si è contro. Non si può essere a favore della flessibilità "ma solo fino a un certo punto, flessibili ma solo un pochino". E soprattutto, chi offre lavoro flessibile, dovrebbe avere l'onestà intellettuale di non storcere il naso davanti a trentenni con 8 lavori diversi alle spalle, tutti di pochi mesi.

Le micro quote sono comunque un'ottima idea, ma sicuramente più applicabile ai servizi e piccole imprese. Altrimenti ci sono già le cooperative, che però agli imprenditori non piacciono perché si dividono in parti uguali sia rischi che GUADAGNI. Preferiscono ipotizzare scenari come quello delle micro quote: il lavoratore è coinvolto perché si assume parte del rischio e produce di più, esattamente come succede con le cooperative. La differenza è che se con il suo maggiore impegno si guadagna di più a lui va solo una piccolissima quota, mentre all'imprenditore il grosso del guadagno. Siccome il lavoratore non è in grado di calibrare un impegno minore per le micro-quote rispetto alle cooperative, ecco che all'imprenditore conviene nettamente di più il sistema di micro-quota che di cooperativa: ottiene lo stesso impegno, la stessa condivisione del rischio ma in caso di guadagno intasca molto di più che con la cooperativa, dove sarebbe ripartito ugualmente anche il guadagno.

Fede
(e io sono un imprenditore ;) )

Anonimo ha detto...

@angela
Diversi di noi hanno provato molte volte, e con risultati in genere postivi, in particolare per:

1. far entrare direttamente nel capitale sociale collaboratori con piccole quote;
2. sviluppare il contratto di associazione in partecipazione in forma mista lavoro/capitale con delle piccole quote anche qui.

@fede - bloglavoro
... "scarta quelli "- che hanno lavorato in molti posti per poco tempo - sembrano insicuri o poco stabili;". Cioè, flessibili ma non troppo?" ...

Per noi la flessibilità è altro. Non è di certo avere 4-5-6-7 esperienze di lavoro in ditte diverse lunghe tempi brevi. Quella è solo poca capacità ad avere una visione a lungo spettro della propria vita lavorativa.

Flessibilità è innanzitutto una forma mentis, come anche il definirsi "imprenditore" dovrebbe essere una forma mentis - come sappiamo già sai probabilmente visto che ci leggi da diverso tempo ormai.

:-)

Microquote e Cooperative: si sta parlando di altro qui - il sistema cooperativo c'entra poco e niente.

Tranquillo per l'ironia, è normale da parte di chi chiama flessibilità una visione precaria del mondo del lavoro quale quella che tu sembri avere - ci siamo abituati non sei il primo che sbaglia approccio al problema.

;-)

Anonimo ha detto...

Sottoscrivo l'intero post. I giovani che vogliono affacciarsi al lavoro spesso non lo trovano perchè non si presentano come persone dinamiche e flessibili (il mercato di oggi richiede queste due qualità come il pane). E' certo che non deve mancare mai la voglia di sacrificarsi...e quella serve per raggiungere qualsiasi obbiettivo concreto della vita.

Anonimo ha detto...

@l'imprenditore piccolino
Grande verità.

Loud ha detto...

Finalmente qualcosa che vada nel verso di quanto da tempo sostengo, ossia il vero concetto di Flessibilità che deve essere nella mente, nella persona, nel know-how dei lavoratori.

Continuare a confondere la flessibilità con la precarietà è un grosso errore che ci frena sul mercato.

Certo, come si evince anche dal tuo post, un conto è fare questo discorso nei confronti delle attività impiegatizie, dove collaborazione e flessibilità devono portare con sè crescita professionale, aggiornamento culturale, impegno e voglia di fare, voglia di fare impresa; un conto, invece, fare questo discorso nei confornti degli operai che devono solo lavorare e produrre, spesso senza altre richieste a questa categoria.

Sono le tipologie di attività ad essere diverse, va riconosciuto.

Oggi un giovane deve smetterla di presentersi sul lavoro chiedendo tutele, diritti, contratti a tempo indeterminato, soldi, ecc.
Deve invece presentarsi dicendo cosa vuole fare, le sue capacità, dimostrandosi collaboratore.
Ogni esigenza stretta che non possa essere superata da una collaborazione è indice di freno sul mercato, di difficoltà interne, e si rimane con le normative del '70 anziché con le moderne riforme del 2003.

Tutto ciò va spiegato ai lavoratori, ai giovani, spesso svogliati che cercano solo un posto di lavoro, non "quel" posto di lavoro, non "quel" lavoro di proprio interesse reale.

Luca

Anonimo ha detto...

Che altro si può dire dopo una verità come la tua loud ...

:-)

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