domenica 30 settembre 2007

PILLOLE DI PRECARIETA'

Ecco cosa i precari chiedono... non certo voglia di non lavorare...

martedì 25 settembre 2007

IL NOSTRO MEDICO DI FAMIGLIA




Oggi voglio portarvi a conoscenza delle difficoltà lavorative che i nostri “medici di famiglia” sono costretti ad affrontare giornalmente grazie ai cosiddetti “Manager” delle Aziende Sanitarie Locali.
Ovviamente, così come tutte le Aziende, essi hanno il dovere di far quadrare i conti.
Certo, suona veramente strano che un’Azienda Sanitaria, che dovrebbe salvaguardare la salute di ogni cittadino, si metta alla stessa stregua di qualsiasi azienda profit, come ad esempio le aziende farmaceutiche, che a loro detta, sono gli “untori” della Sanità. I continui “richiami e minacce” da parte loro verso gli operatori del settore vanno veramente a salvaguardare la nostra salute o, invece, a salvaguardare i loro lauti stipendi?
Questa lettera che segue è esposta, a mo di lenzuolo quasi, e, a caratteri cubitali, all’interno di uno studio medico romano. Luogo (lo studio medico) dove ogni giorno, il nostro medico di famiglia, prima di prescrivere un farmaco (che dovrebbe essere il più adatto alla nostra salute) deve pensare a non superare il tetto di 15 euro a persona! Già, il nostro benessere non deve superare i 15 euro; peccato che la prescrizione di un solo farmaco per l’asma, ad esempio, può costare 70 euro. E allora che fare? Semplice, costringere il medico a prescrivere farmaci meno costosi, magari di vecchia ricerca e concezione, chi se ne frega degli effetti collaterali… L’importante è rientrare nella spesa, poi, un vecchietto in più o uno in meno…non fa certo la differenza!!

“ In questo periodo, come sentito dalla televisione o dai giornali, si parla molto di riduzione della spesa sanitaria e dell’ “appropriatezza prescrittiva” e, come al solito, sempre a noi sono richiesti sacrifici, anche per salvaguardare il futuro della sanità pubblica.
Noi medici di famiglia siamo i più bersagliati ed io sono stanco dei continui richiami e minacce da parte delle ASL.
Ci vogliono far passare come artefici principali del deficit della sanità o come corrotti (se non proprio dei ladri) perché assoggettati alle case farmaceutiche. Personalmente, credo che sia la stessa cosa per la maggior parte dei colleghi, il rapporto con le case farmaceutiche e con gli informatori scientifici del farmaco, da voi chiamati “rappresentanti” (anche loro sono lavoratori tartassati) riguarda l’informazione ed i corsi di aggiornamento, altrimenti non disponibili per assenza di fondi dello stato e delle ASL.
Forse c’è in ballo l’idea di cancellare la medicina di base così com’è, ma, se è vero che l’età media della popolazione è aumentata ed è diminuita dove la spesa sanitaria è minore, qualcosa di buono, forse, abbiamo fatto, pure se è vero che i farmaci possono far male.
Comunque, in considerazione dei continui richiami e delle minacce di eventuali interventi della finanza a studio e nelle vostre case per la verifica delle prescrizioni ed esenzioni ticket, ricordo che siamo noi medici di base responsabili delle prescrizioni e che ogni prescrizione ci va addebitata come nota spesa, una spesa che non dovrebbe superare i 15 euro a persona....
(segue poi una descrizione di alcuni farmaci con nota AIFA, che è inutile qui menzionare)
Ricordate, infine, che il vostro medico è quello che può consigliarvi al meglio e più disinteressatamente. Abbiate fiducia se è vero che si chiama “medico di fiducia”. Forse, la nostra condanna è volersi ostinare a fare il “medico di famiglia”. P.G.

Meditate, meditate, anzi meditiamo...

giovedì 20 settembre 2007

PER NON DIMENTICARE...

Ogni giorno sui giornali si riporta la notizia delle cosiddette "morti bianche".

Questo video mi ha molto colpito, non dimentichiamoci che le morti bianche non sono dei
numeri.... ma delle persone.

lunedì 17 settembre 2007

PRECARI E CONTENTI



Oggi vi voglio parlare delle mie impressioni su questo libro, tra l’altro l’autrice, Angela Padrone, spesso partecipa attivamente nel mio blog ( e nel suo, ha anche descritto la mia storia) con i suoi commenti e quindi, vi confesso, che ero molto curiosa di leggerlo.
La prima cosa che mi sono chiesta, appena preso in mano il libro, è stata: “ma si può essere precari e contenti?” Considerato il periodo in cui non si parla d’altro che del “Grillismo” e di “schiavitù post-industriale giovanile”, il primo pensiero che mi è venuto in mente è stato: “l’autrice, Angela Padrone, giornalista del Messaggero, nonché facente parte in primis della direzione del giornale, già per il fatto di essere giornalista (e quindi, come quasi noi tutti pensiamo, appartenere ad una “casta” di poteri forti del nostro Paese), non vuole fare altro che convincerci che precario è bello”.
E invece, niente di tutto questo…
Sin dai primi capitoli, dove lei racconta la sua storia lavorativa, con le emozioni, le difficoltà e speranze, comuni a quanto pare in ogni tempo, ci si rende conto che è tutta un’altra storia.
La parte centrale del libro è fatta di storie vere, vissute da giovani e meno giovani, che hanno lasciato un segno indelebile dove sono passati. Ogni persona è il “protagonista” della propria vita. E, a volte, sono proprio le difficoltà che fanno uscire il meglio di se stessi, la loro originalità e genialità. In ognuna di queste storie, spesso ho ritrovato pezzi anche della mia vita.
Ognuno, in base alla propria indole, o si sente “sfruttato” e basta, o si sente, nonostante tutto, nelle condizioni di trarre anche degli insegnamenti dal proprio senso di sfruttamento. Un esempio di ciò lo si trova molto ben descritto nel capitolo dedicato ai call-center. In quello che lei ha visitato c’è di tutto, dalla casalinga contenta di guadagnare qualcosa e di correre a casa dai figli a qualunque orario a chi, laureato, si trova lì perché non ha trovato di meglio, ecc.
Angela Padrone afferma che adesso ci sono più opportunità di lavorare rispetto agli anni ’70 e ’80. Prima o si era fuori o si era dentro, o ancora peggio in nero (piaga purtroppo ancora molto attuale).
Lei sostiene che, grazie all’attuale flessibilità nel lavoro, ci possono essere occasioni di crescita inimmaginabili. Questo, però, spesso viene messo tra parentesi, perché in Italia la flessibilità è vissuta come precarietà, e come lei stessa afferma… “il precariato in Italia è visto come la peste manzoniana. E’ un bubbone e non ci si vuole convivere. Si ha paura di guardarlo, magari ci si nasconde sotto le lenzuola, come fa Don Rodrigo quando ci si ammala. Diventa impossibile essere obiettivi…”
Nelle conclusioni del suo libro, c’è una bellissima descrizione di quello che è stata ed è la disoccupazione in Italia, sia in “cifre” che in “percezione”. C’è anche un excursus sulle normative che hanno portato in Italia la flessibilità, risalenti molto prima al 2003, anno della “famigerata” legge 30 (Biagi), che secondo la maggior parte di noi ha portato il precariato in Italia.
Mi ha colpito inoltre, molto, il capitolo intitolato “Gli indiani, i giapponesi e la flexicurity”. Lei qui afferma … “ l’Italia si è avvicinata alla media internazionale nella flessibilità e temporaneità del lavoro, ma non ha istituito forme di protezione o di salario minimo per chi non ha un posto fisso. Ben diverso sarebbe se anche chi perde un lavoro precario beneficiasse di sistemi di salario minimo e di ricerca di un altro lavoro, come in molti altri paesi. In uno slogan si potrebbe dire: via i fannulloni e sì alla pensione per i precari….. Sono correttivi indispensabili in un mondo sempre più flessibile…..”
Penso che in questo mondo lavorativo, sia questo il vero cammino da intraprendere, d’altronde è inutile bendarsi gli occhi. Il mondo non può più tornare indietro e ormai, diffido da chi fa demagogia sciocca pensando che il lavoro debba essere a vita e soltanto a tempo indeterminato.
Ognuno di noi ha le capacità di tirare fuori il meglio di sé; le storie di questo libro lo dimostrano, i talenti sono tanti e differenti che difficilmente chi lavora con onestà, professionalità ed umiltà rimane a casa. E’ sempre bene sapere dove si vuole andare, avere, insomma, ben chiaro in mente l’obiettivo e poi agire per raggiungerlo, con un pizzico di entusiasmo che non guasta mai e lottando anche per i propri diritti.
Concludo con le parole dell’autrice: “ le storie raccontate in questo libro dimostrano quali risultati si possono ottenere con l’intelligenza, la convinzione e la passione ”.
Che altro dire, se non buona lettura!!

sabato 15 settembre 2007

ART.3 - LEGGE BIAGI



L’altro giorno mentre discutevamo tra colleghi di lavoro del più e del meno, tra un discorso e l’altro, si è scivolati sulla “famigerata” legge Biagi. Ad un certo punto, uno dei miei colleghi (per farvi capire il tipo- “so tutto io”) ha nominato l’art. 47 ?! In quel momento sono scoppiata a ridere e lui, quasi scocciato, mi chiedeva perché… Quando gli ho, semplicemente risposto, che la legge Biagi ha 10 articoli, si è subito ritirato la coda tra le gambe. Racconto questo episodio perché, effettivamente, c’è tanta ignoranza al riguardo.
Con l’amico del blog somministrato, avevamo cominciato insieme il discorso dell’esame della legge 30. Questa volta mi occupo io dell’art. 3, sperando che la mia interpretazione sia il più possibile corretta, altrimenti sono pronta a correggermi con l’aiuto di chi legge.

l'articolo 3 riguarda il part-time. Il titolo recita:

“ Delega al Governo in materia di riforma della disciplina del lavoro a tempo parziale ”

Comma 1 Il Governo è delegato ad adottare, su proposta del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, sentito il Ministro per le pari opportunità, entro il termine di un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi, con esclusione dei rapporti di lavoro alle dipendenze di amministrazioni pubbliche, recanti norme per promuovere il ricorso a prestazioni di lavoro a tempo parziale, quale tipologia contrattuale idonea a favorire l’incremento del tasso di occupazione e, in particolare, del tasso di partecipazione delle donne, dei giovani e dei lavoratori con età superiore ai 55 anni, al mercato del lavoro, nel rispetto dei seguenti princìpi e criteri direttivi:

a) agevolazione del ricorso a prestazioni di lavoro supplementare nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto orizzontale, nei casi e secondo le modalità previsti da contratti collettivi stipulati da associazioni dei datori e prestatori di lavoro comparativamente più rappresentative su scala nazionale o territoriale, anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei predetti contratti collettivi;

Il tempo parziale orizzontale si ha quando la riduzione di orario di lavoro rispetto al tempo pieno è all’interno del normale orario giornaliero (ad es. una prestazione di lavoro di 4 ore in confronto ad un normale orario di lavoro di 8 ore).
Il datore di lavoro ha, ora, la possibilità di ricorrere al lavoro supplementare nel part-time di tipo orizzontale, ossia il lavoro reso oltre l’orario concordato nel contratto individuale entro il limite del tempo pieno.

b) agevolazione del ricorso a forme flessibili ed elastiche di lavoro a tempo parziale nelle ipotesi di lavoro a tempo parziale cosiddetto verticale e misto, anche sulla base del consenso del lavoratore interessato in carenza dei contratti collettivi di cui alla lettera a), e comunque a fronte di una maggiorazione retributiva da riconoscere al lavoratore;

Il tempo parziale verticale si ha quando la prestazione lavorativa è svolta a tempo pieno, ma limitato a periodi predeterminati nel corso della settimana, mese, anno (per es. 3 giorni di 8 ore lavorative nella settimana, 6 mesi a tempo pieno nell’arco dell’anno).
Il tempo parziale misto si ha quando la prestazione lavorativa è il risultato della combinazione di part- time orizzontale e part- time verticale.
Si introduce la facoltà di inserire clausole elastiche e flessibili nel part- time verticale e misto.
Il datore di lavoro e il lavoratore hanno la facoltà di stipulare un patto, in forma scritta, avente come oggetto una clausola flessibile. La regolamentazione del clausola flessibile è demandata alla contrattazione collettiva; in mancanza di regolamentazione per via collettiva, datore di lavoro e lavoratore si possono accordare per lo svolgimento del lavoro flessibile, stabilendo modalità, forme e misure di compensazione.
La clausola elastica, si differenzia da quella flessibile in quanto non interessa solo la collocazione del monte ore concordato, ma attiene anche la possibilità di ampliare il numero di ore. Determina quindi, un incremento definitivo della quantità di prestazione, a differenza dello straordinario o del supplementare, ove si verifica, invece, un aumento temporaneo della prestazione.

c) estensione delle forme flessibili ed elastiche anche ai contratti a tempo parziale a tempo determinato;


d) previsione di norme, anche di natura previdenziale, che agevolino l’utilizzo di contratti a tempo parziale da parte dei lavoratori anziani al fine di contribuire alla crescita dell’occupazione giovanile anche attraverso il ricorso a tale tipologia contrattuale;


e) abrogazione o integrazione di ogni disposizione in contrasto con l’obiettivo della incentivazione del lavoro a tempo parziale, fermo restando il rispetto dei princìpi e delle regole contenute nella direttiva 97/81/CE del Consiglio, del 15 dicembre 1997

Con questa affermazione sono abrogati i commi 11, 12 e 13 dell’art. 3 d.lgs. n. 61/2000 che disponevano la facoltà per il lavoratore, in presenza di particolari esigenze personali, di denunciare il patto con cui si variava la collocazione temporale delle prestazioni; a seguito della denuncia veniva meno la facoltà del datore di lavoro di variare la collocazione temporale inizialmente concordata (con la riforma Biagi, quindi, se il lavoratore firma il patto non potrà più tornare indietro).

f ) affermazione della computabilità pro rata temporis in proporzione dell’orario svolto dal lavoratore a tempo parziale, in relazione all’applicazione di tutte le norme legislative e clausole contrattuali a loro volta collegate alla dimensione aziendale intesa come numero dei dipendenti occupati in ogni unità produttiva;

Viene soppresso il comma 2 dell’art. 6 d.lsg n. 61/2000 che consentiva di computare i lavoratori a tempo parziale come un’ unità ai fini dell’applicazione del titolo III legge 300/1970 (Statuto Lavoratori).

g) integrale estensione al settore agricolo del lavoro a tempo parziale.


Concludendo, quindi, si attua la totale flessibilizzazione delle prestazioni di lavoro a tempo parziale, rivalutando contestualmente la piena autonomia delle parti del rapporto di lavoro. Mi pongo una sola domanda: questa totale flessibilizzazione, potrebbe andare a scapito del lavoratore (cioè della minore forza contrattuale)?







giovedì 6 settembre 2007

SUCCEDE ANCHE QUESTO...







In un vecchio post avevo affermato " ... il lavoro ormai è una merce, alla stregua di un computer, un telefono, ossia di un qualsiasi oggetto che liberamente si può cambiare, vendere, affittare, ecc. In tal modo i predicati dell’essere umano diventano irrilevanti agli occhi del legislatore, della politica e dell’impresa. Mercificando il lavoro, le imprese hanno il potere di utilizzare il lavoro come si fa per le parti ad esempio di un auto, cioè solo quando serve e fino a quando serve..."
A conferma di quanto detto, oggi riporto la testimonianza di un collega, Andrea, che in un sito da me visitato scrive:

Vorrei rubare solo due secondi per dire anche io la mia su Astra Zeneca e sulla cessione di ramo di azienda. Nel vostro sito si fa un gran parlare di questa imminente cessione a Marvecs ma niente si dice a proposito di me, anzi di noi. Siamo gli informatori Marvecs a tempo determinato, siamo circa 260. Siamo circa lo stesso numero di informatori Astra Zeneca che passeranno in Marvecs. In via ufficiosa ci è stato già detto che a dicembre, scadenza del nostro contratto, non ci sarà per noi nessun rinnovo. Lasceremo il posto ai nostri colleghi Astra. In questa lotta tra poveri, la mia domanda sorge spontanea: è preferibile una cessione di ramo di azienda ad altra azienda o è preferibile essere mandati definitivamente a CASA? Possibile che faccia tanto scalpore un cambio di datore di lavoro e non freghi niente a nessuno di 260 persone, cioè 260 famiglie che perdono completamente una importante e spesso unica fonte di reddito?

Nel frattempo la cessione di ramo d'azienda è stata fatta ed Andrea, che si sente un lavoratore di serie B, seguirà il suo destino...d'uso. Io non ho parole, e voi?

sabato 1 settembre 2007

IL PUNTO DELLA SITUAZIONE...








Durante il mese di Agosto la stampa ha avuto tanto da scrivere riguardo le leggi che regolano il mercato del lavoro (in primis la legge Biagi) e ogni giornalista ha espresso la sua opinione.Tra i tanti, alcuni affermano che è necessario la completa liberalizzazione del mercato del lavoro per rimuovere le arretratezze del nostro sistema produttivo così come la presenza dei Sindacati. (W la Cina, a questo punto…).

Mi riferisco in particolare a F. Giavazzi (la delusione dei più deboli) sul Corriere della Sera. In alcuni punti, lui afferma che l’eliminazione dei contratti a tempo indeterminato con le ormai vecchie protezioni sociali, l’introduzione di maggiore libertà di licenziamento, possono ridurre le diseguaglianze sociali. Attualmente il mercato del lavoro più libero in assoluto, nel mondo industrializzato, è quello degli USA. Qui c’è libertà di licenziamento, da parte del datore di lavoro, senza l’obbligo di dare giustificazioni di alcun tipo. Inoltre, gli individui dipendono dai loro datori di lavoro per quanto riguarda l’assicurazione sulla salute. Se dovessero perdere il lavoro, perderebbero anche la loro assicurazione sanitaria e se si dovessero ammalare nel periodo tra due impieghi ciò potrebbe avere delle conseguenze su tutta la loro vita. Non mi sembra, quindi, che questo fenomeno abbia contribuito a diminuire la crescita delle diseguaglianze sociali in questo paese, anzi…

Da tutte le varie discussioni che ci sono state e ci sono ancora, mi pare che si voglia instillare quasi un “odio” tra lavoratori cosiddetti “tipici” e gli “atipici” parlando addirittura di PRIVILEGI che i primi godono rispetto agli altri anziché di DIRITTI. Che vergogna, i DIRITTI stanno diventando PRIVILEGI!!! Come dice un lettore del blog somministrato in un commento del post - l'equilibrista - “… ma qual'è quell'overdose di privilegi di cui godono i lavoratori a tempo indeterminato?La assemblee? Le ferie? La mutua?Il rifiuto dello straordinario?...” Leggete la sua storia, ormai nelle Aziende va di moda l’esternalizzazione (vedi anche post il tempo indeterminato precario…..)

J. Stiglitz nel suo libro La globalizzazione che funziona afferma: “ L’impiego a vita sarà una cosa del passato. La gente dovrà spostarsi da un impiego all’altro durante la propria vita lavorativa. Una delle maggiori sfide del nostro sistema scolastico sarà preparare le nuove generazioni a questa transizione ed una delle sfide del nostro sistema sociale sarà rendere questa transizione il più facile possibile per la gente. Ci sarà più precarietà rispetto al passato, più rischi, ma possiamo ridurre le conseguenze sociali. La globalizzazione è stata usata come una scusa per indebolire la protezione sociale. Piuttosto, il fatto che l’occupazione sta diventando sempre più precaria è un motivo per rafforzare la protezione sociale. Certamente, dobbiamo impegnarci a rendere questa protezione più funzionale e qualche volta, nel passato, non lo è stata, ma questa non può essere una giustificazione per sbarazzarsi della protezione sociale ”.

Infine, voglio esprimere il mio parere riguardo il nascente Comitato per la difesa della Legge Biagi.

Angela Padrone nel post il comitato legge Biagi del suo blog scrive: “….La maggior parte dei problemi del mercato del lavoro in Italia sono il risultato di vecchie incrostazioni e inadeguatezze piuttosto che dei tentativi di adeguamento, modernizzazione e tutela degli ultimi anni. Ma è più facile trovare un capro espiatorio e arringare le masse: secondo questa linea chi ha delle difficoltà sul lavoro non ha che da prendersela con la legge Biagi, no? Poi è ovvio che qualunque legge è perfettibile. In questo caso bisognerebbe dire qualunque "corpo" di leggi, visto che il mercato del lavoro non è certo regolato da un'unica legge. Più ancora contano i comportamenti diffusi, la cultura, le strutture, l'economia, e gli uomini. Se si dovesse vedere tutto ciò che di buono, e di non applicato, c'è in questa come in altre norme regolatorie, non si finirebbe più. Sarebbe bello che su questo tema si smettesse di fare il tifo, si smettesse di parlare per luoghi comuni e per ideologie, dividendosi in buoni e cattivi. E fregandosene, molto spesso, dei problemi reali di chi entra nel mercato del lavoro o ci vive male, per motivi spesso opposti. Un tema solo voglio qui sottolineare, a mo' di esempio: la mancanza di trasparenza del mercato, che peggiora le possibilità di lavoro dei più svantaggiati, e crea difficoltà anche a chi ha capacità e competenze di alto livello. Resta così campo libero per il malcostume del familismo, del nepotismo, della raccomandazione. La legge Biagi aveva affrontato questo problema, ma è poco applicata. Perché?...”

Se questo comitato serve a rispondere a queste domande che la giornalista si pone, ben venga, altrimenti, non lo condivido. E non approvo, neanche, che sul loro sito non si possano lasciare dei commenti. Si ha forse paura delle opinioni di chi la pensa diversamente?
E poi, per concludere, visto che siamo tutti bravi (compresa me, forse) a parlare degli “atipici” che sognano un contratto “tipico”, mi piacerebbe conoscere il tipo di contratto lavorativo che hanno gli aderenti al comitato.
Non credo che qualcuno di loro mi risponda…, gli ho già mandato una e-mail con questa domanda da una settimana, nessuno mi ha risposto…
C'è tanto sui cui riflettere.... e dibattere.....

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